IL PRETORE
    A scioglimento della riserva formulata nel procedimento n. 4607/94
 tra Dominici Sergio + 10 e l'Ente nazionale previdenza ed  assistenza
 dei veterinari, pronuncia la seguente ordinanza.
    Con l'azione proposta i ricorrenti mirano ad un accertamento della
 inesistenza   di   qualsiasi   obbligo   contributivo  nei  confronti
 dell'E.N.P.A.V. (Ente  nazionale  di  previdenza  ed  assistenza  dei
 veterinari)  per  gli  anni  1991,  1992  e  1993,  in ipotesi previa
 dichiarazione di rilevanza e  di  non  manifesta  infondatezza  della
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 11, ventiseiesimo
 comma, della legge finanziaria 24 dicembre 1993, n. 537, in relazione
 ai  vari   parametri   costituzionali   indicati,   con   conseguente
 sospensione  del  processo  e  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale.
    I  ricorrenti  sono  medici  veterinari  che  si   trovano   nella
 condizione  prevista  dall'art.  24,  secondo  comma,  della legge 12
 aprile 1991, n. 136. In base alla legge 18 agosto 1962, n. 1357 (art.
 2, secondo comma), l'iscrizione all'E.N.P.A.V. era  obbligatoria  per
 tutti  i  veterinari  (di eta' inferiore agli anni 65) iscritti negli
 albi  professionali  (anche  dunque   se   svolgenti   esclusivamente
 attivita'   di   lavoro  dipendente);  cio'  comportava  comunque  la
 corresponsione di un modesto contributo (previsto dall'art. 16).
    Con la legge n. 136/1991 (di  riforma  dell'E.N.P.A.V.)  e'  stato
 invece  posto  il  contrario  principio  per  cui l'iscritto all'albo
 professionale, ma che svolgesse esclusivamente  attivita'  di  lavoro
 dipendente  od  autonomo  con altra forma di previdenza obbligatoria,
 aveva la facolta'  di  iscriversi  o  meno  all'E.N.P.A.V.  (cfr.  in
 particolare  l'art.  24,  secondo  e  terzo comma, nonche' l'art. 32,
 abrogativo del gia' citato art.  2  della  legge  n.  1357/1962);  in
 compenso   e'   stato  previsto  in  generale  un  contributo  minimo
 soggettivo certamente piu' elevato (art.  11),  mentre  gli  iscritti
 all'albo  e  non  all'E.N.P.A.V.  erano  tenuti a versare soltanto un
 modesto contributo di solidarieta' (art. 11, quarto comma).
    I  ricorrenti  hanno  dunque  esercitato la facolta' di rinunciare
 all'iscrizione all'E.N.P.A.V. A distanza di tre anni dall'entrata  in
 vigore  della  legge di riforma, con l'art. 11 (punto 26) della legge
 finanziaria (per l'anno 1994)) n. 537/1/993 e' stata  introdotta  una
 norma    che,    nell'intento    di    ristabilire   il   presupposto
 dell'imposizione   contributiva   nei   confronti   dei    veterinari
 "receduti",  sotto le sembianze di norma interpretativa dell'art. 32,
 primo comma, della legge n.  136/91,  ha  ripristinato  a  carico  di
 questi  ultimi  l'obbligo  di  iscrizione  all'E.N.P.A.V., disponendo
 altresi'  la  nullita'  di  diritto  dei  relativi  provvedimenti  di
 cancellazione, ed il pagamento dei contributi frattanto maturati. Per
 l'adempimento   di   tale   obbligo   all'E.N.P.A.V.   ha  provveduto
 sollecitamente  ad  inviare  una  lettera  di  invito,  con  allegato
 bollettino di versamento in conto corrente postale, chiedendo appunto
 ai ricorrenti il pagamento dei contributi arretrati (maturati fino al
 31 dicembre 1993).
    Sembra  davvero  impossibile  a  questo  pretore dare all'art. 11,
 ventiseesimo comma, un'interpretazione diversa da quella  seguita  in
 sede  amministrativa  all'E.N.P.A.V.,  perche',  sebbene la norma non
 brilli  per  cartesiana  chiarezza  e  per  la  tecnica   ermeneutica
 utilizzata, e' pur tuttavia dotata di un'innegabile coerenza interna,
 che  ne  impedisce  un  diverso  apprezzamento.  Non  si puo' infatti
 ritenere che essa disponga solo  per  il  futuro,  ovvero  che  operi
 limitatamente  ai  veterinari  che  si trovino in condizioni comunque
 diverse da quella di chi, svolgendo attivita' di  lavoro  dipendente,
 ha provveduto a cancellarsi all'E.N.P.A.V.
    Cio'  premesso, bisogna allora osservare che, se pure si neghi "in
 astratto" una natura veramente interpretativa alla norma de qua,  per
 affermare    al   contrario   quella   "innovativa"   (sulla   scorta
 dell'insegnamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui "va
 riconosciuto carattere interpretativo  soltanto  ad  una  legge  che,
 fermo  il  tenore  testuale della norma interpretata, ne chiarisce il
 significato  normativo   ovvero   privilegia   una   tra   le   tante
 interpretazioni  possibili,  di  guisa che il contenuto precettivo e'
 espresso dalla coesistenza delle due norme ...,  le  quali  rimangono
 entrambe  in  vigore  e sono quindi anche idonee ad essere modificate
 separatamente": cosi' Corte costituzionale sentenza 4 aprile 1990, n.
 155, nonche' Corte costituzionale sentenza 10 febbraio 1993, n.  39),
 l'ottica   interpretativa  non  potrebbe  mutare  significativamente.
 Infatti, anche se appare abbastanza  palese  da  un  punto  di  vista
 sostanziale  il  carattere  falsamente  interpretativo  dell'art. 11,
 ventiseesimo  comma  (ad  onta  della  autoqualificazione   formale),
 finalizzato  verosimilmente  a produrre l'effetto retroattivo, devesi
 segnalare  come  la  medesima  effettualita'  giuridica   invisa   ai
 ricorrenti  consegue alla seconda parte della norma in esame, laddove
 si  prevede  la  "nullita'   di   diritto"   dei   provvedimenti   di
 cancellazione  adottati  all'E.N.P.A.V. nei confronti dei veterinari,
 gia'  obbligatoriamente  iscritti  all'ente  stesso  in  forza  della
 precedente  normativa.  Ed  in realta' l'affermazione della nullita',
 quale stato viziato invalidante  i  provvedimenti  di  cancellazione,
 vale  comunque  sicuramente a richiamare l'attenzione dell'interprete
 sull'inefficacia dei  medesimi  (quod  nullum  est,  nullum  producit
 effectum):  ed  e' ben noto come di regola la nullita' operi ex tunc.
 Di conseguenza, anche a ritenere, svilendo (in modo che  comunque  e'
 interdetto  al  giudice  a quo) il dato letterale, che la prima parte
 dell'art.   11,   ventiseesimo   comma,   della  legge  n.  537/1993,
 introducendo una  nuova  disciplina,  produce  effetti  solo  per  il
 futuro,  non sembra che possa ritenersi fondata sic et simpliciter la
 domanda dei ricorrenti a sentire dichiarata l'insussistenza  di  ogni
 obbligo  di  carattere  contributivo  a loro carico per il passato, e
 cioe' per gli anni 1991-1993.
    Il punto centrale della questione  e'  dunque  proprio  quello  di
 verificare   la   non   manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita' costituzionale in  relazione  all'efficacia  retroattiva
 della  norma  introdotta  (atteso  che  da  quanto detto risulta gia'
 evidenziata    la    sussistenza    della     rilevanza).     Invero,
 "l'irretroattivita'  costituisce  un  principio  generale  del nostro
 ordinamento (art. 11 preleggi) e, se pur  non  elevato,  fuori  della
 materia  penale,  a  dignita' costituzionale (art. 25, secondo comma,
 della Costituzione), rappresenta pur sempre una regola essenziale del
 sistema,  a  cui,  salva  un'effettiva  causa   giustificatrice,   il
 legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei
 rapporti  preteriti  costituisce  un  indubbio  cardine  della civile
 convivenza e della tranquillita' dei cittadini" (cosi'  ancora  Corte
 costituzionale  sentenza  n. 155/1990). A tale riguardo, innumerevoli
 appaiono i profili di non manifesta infondatezza; inoltre la norma in
 esame sembra presentarsi in vari altri  punti  in  contrasto  con  la
 Costituzione.  Occorre  anzitutto riflettere sulla autoqualificazione
 dell'art. 11, ventiseesimo comma, come norma interpretativa dell'art.
 32, primo comma, della legge n. 136/1991: sembra evidente  da  quanto
 gia'  detto  che essa e' dal punto di vista contenutistico, una norma
 innovativa, con la quale si vuole pero' produrre in modo peculiare un
 effetto retroattivo. Invero l'art. 32, primo comma,  della  legge  n.
 136  e'  norma  di pronta intellegibilita' e, come e' noto, in claris
 not  fit  interpretatio;  inoltre  e'  evidente   come   l'art.   11,
 ventiseesimo  comma,  della legge n. 537 ha un contenuto abrogativo -
 innovativo (ed  addirittura  sostitutivo)  rispetto  alla  norma  che
 espressamente dichiara di voler soltanto interpretare. Prova ne e' il
 fatto  che  viene  a  mutare totalmente il "regime previdenziale" dei
 medici veterinari che svolgono un lavoro (dipendente od autonomo)  in
 forza   del   quale   gia'  fruiscono  di  una  forma  di  previdenza
 obbligatoria:  per  loro   infatti   non   e'   piu'   possibile   la
 facoltativita'  dell'iscrizione  all'E.N.P.A.V.  (ed inoltre la norma
 attribuisce carattere retroattivo  all'iscrizione  obbligatoria).  E'
 noto,   al   contrario,   come   il   discrimine   tra   disposizioni
 interpretative e disposizioni  innovative  si  ricollega  proprio  al
 fenomeno     abrogativo,    che    e'    fisiologicamente    estraneo
 all'interpretazione autentica, la quale, come tale,  fa  rimanere  in
 vita  le  norme  che  vuole  interpretare  (a  fini  di  certezza del
 diritto).  Dall'esame  comparativo  delle  disposizioni  in  oggetto,
 quella  interpretata  e  quella  interpretatrice, nel nuovo testo, si
 riscontrano delle aggiunte, rilevanti ed  addirittura  radicali,  che
 fanno  senza  dubbio  ritenere che l'art. 11, ventiseesimo comma, sia
 una norma innovativa.  Pertanto  essa  appare  caratterizzata  da  un
 difetto  di  razionalita',  e  contrasta  quindi  con  l'art. 3 della
 Costituzione, nel senso che il legislatore, utilizzando lo  strumento
 tecnico  dell'interpretazione  autentica al di la' della sua funzione
 propria, ha oltrepassato  i  limiti  della  ragionevolezza.  Si  puo'
 quindi  sostenere,  con  l'ausilio  della  sentenza n. 155/1990 della
 Corte   costituzionale,  che  "nella  specie  il  legislatore  ..  ha
 arbitrariamente  distorto  la  tipica  funzione  dell'interpretazione
 autentica  (alla quale si deve far ricorso con attenta e responsabile
 moderazione) con il connaturato effetto retroattivo".
    Inoltre, tale intervento legislativo, sovrapponendo  la  norma  in
 esame  alla  precedente,  che  ne  risulta  sostituita (pur dovendosi
 ritenere formalmente non espunta dal sistema delle fonti del  diritto
 oggettivo),  con  eccesso dai limiti della ragionevolezza, ha operato
 una sottrazione al giudice del compito istituzionale di  interpretare
 ed  applicare  la  norma di legge in modo autonomo ed indipendente da
 ogni altro potere; in tal modo l'art. 11, ventiseesimo  comma,  viola
 il  combinato  disposto degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione
 evidenziando il vizio dello sviamento della funzione legislativa.
    Non si vuole qui certo porre in dubbio la piena  legittimita'  del
 potere  del legislatore di utilizzare l'interpretazione autentica, in
 considerazione  anche  del  diverso  livello  di   operativita'   del
 legislatore  e  del  giudice, ma il vizio da ultimo indicato trova la
 sua ratio essendi, ed e' quindi una naturale conseguenza del  difetto
 di  razionalita',  o, per meglio dire, dell'arbitrarieta' del ricorso
 all'uso della norma interpretativa precedentemente evidenziato.
    In ralazione al contenuto della norma, non si possono in tale sede
 obliterare ulteriori profili di illegittimita' costituzionale.
    Infatti, anche nel caso in cui la Corte  costituzionale  ritenesse
 la  norma  autenticamente  interpretativa,  o  comunque non legittimi
 effetti  retroattivi,  sussisterebbe  pur  sempre  la  non  manifesta
 infondatezza della questione di legittimita' costituzionale in ordine
 alla  rinnovata  obbligatorieta'  dell'iscrizione  all'E.N.P.A.V. per
 coloro che, iscritti in epoca antecedente alla legge n. 136/1991,  si
 trovano  pur  tuttavia nella condizione lavorativa prevista dall'art.
 24,   secondo   comma,   della   stessa   legge.   In    particolare,
 l'obbligatorieta'  dell'iscrizione  all'E.N.P.A.V. anche per i medici
 veterinari gia' avvalentisi di altre forme di previdenza obbligatoria
 determina un'evidente violazione del principio di eguagliana (art.  3
 della  Costituzione),  nel termine della disparita' di trattamento di
 trattamento, e cio' in duplice senso: a) nei confronti dei veterinari
 "libero-professionisti"  (tenuti  a  pagare  solo  i  contributi  per
 l'E.N.P.A.V.),  che  sarebbero  trattati irragionevolmente meglio dei
 veterinari  "assicurati",  sui  quali  viene  a  gravare  una  doppia
 previdenza;  b)  nei  confronti  dei veterinari, che trovandosi nelle
 medesime  (rispetto  agli  odierni  ricorrenti)  condizioni  previste
 dall'art. 24, secondo comma, della legge n. 136/1991, essendosi pero'
 iscritti  per  la prima volta agli albi professionali dopo la data di
 entrata in vigore della legge da ultimo indicata, sono  sottratti  in
 forza  dell'art.  11,  ventiseesimo  comma,  della legge n. 537/1993,
 all'obbligatorieta' dell'iscrizione all'E.N.P.A.V. Pure sotto  questo
 profilo,  deve  dunque  ritenersi  non  manifestamente  infondata  la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art.  11,  ventiseesimo
 comma,  della  legge n. 537/1993, anche per gli effetti del combinato
 disposto di questa norma con gli artt. 32, primo comma,  della  legge
 n. 136/1991 e 2, secondo comma, della legge n. 1357/1962.
    Inoltre,  l'art. 11, ventiseesimo comma, della legge n. 537 sembra
 violare  anche  l'art.  38  della  Costituzione,  che  prevede   come
 "diritto"  (e non gia' come dovere) dei lavoratori quello a che siano
 loro assicurati mezzi adeguati alle  esigenze  di  vita  in  caso  di
 infortunio,    malattia,   invalidita',   vecchiaia,   disoccupazione
 involontaria. A fortiori, dall'art. 38 della Costituzione non e' dato
 desumere  l'obbligatorieta'  di  una  "doppia   previdenza",   e   di
 conseguenza  la  legge  non  puo'  innestare  un  sistema  in  cui il
 cittadino sia tenuto a corrispondere contributi previdenziali  ad  un
 determinato  istituto  contro  la  sua volonta', ed anzi nullificando
 retroattivamente un'opzione gia' manifestata in senso contraria.
    Si deve d'altronde osservare come, anche  nel  nostro  ordinamento
 giuridico,  la  facoltativita'  dell'iscrizione  e' espressione di un
 trend legislativo che sembra inequivocabilmente indirizzato nel senso
 della unicita' della posizione assicurativa pubblica nell'ambito  del
 pluralismo previdenziale. Sotto tale profilo la norma in esame appare
 altresi'  in  interna contraddizione, tanto da far dubitare, anche in
 questa  prospettiva,  della   sua   razionalita',   con   l'art.   1,
 trentatreesimo comma, lettera C) della stessa legge n. 537/1993, che,
 in  relazione  alla  delega  al  Governo  all'emanazione  di  decreti
 legislativi diretti  a  riordinare  o  sopprimere  enti  pubblici  di
 previdenza ed assistenza, pone tra i criteri direttivi proprio quello
 dell'eliminazione delle duplicazioni dei trattamenti pensionistici.
    La  norma  in  esame, inoltre, incidendo con l'effetto retroattivo
 sulle  situazioni  sostanziali  poste  in  essere  nel   vigore   del
 precedente regime, frustra l'affidamento di una determinata categoria
 di  cittadini  nella  sicurezza  giuridica,  che costituisce elemento
 fondamentale di uno stato di diritto: anche in tal senso dunque viola
 l'art. 38 della Costituzione. Invero, secondo un'autorevole dottrina,
 la c.d. buona fede legislativa impone di tenere in considerazione  la
 situazione di affidamento determinata in precedenza dal legislatore e
 di non violarla a posteriore, se non per motivi che, sulla base di un
 giudizio   comparativo,   appaiono   eccezionalmente  prevalenti.  Ed
 esigenze di tipo economico-finanziario non sembrano potersi  ritenere
 ragione   sufficiente  a  giustificare  la  violazione  del  suddetto
 principio (in tal senso, con riferimento a fattispecie diversa, ma di
 natura previdenziale, cfr. Corte costituzionale 10 febbraio 1993,  n.
 39).
    Si  e'  dunque  finora  argomentato  in  ordine alla non manifesta
 infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 11 punto 26 (prima parte) della legge n. 537, in  relazione  ai  vari
 vizi  rilevati. Occorre pero' analizzare anche la seconda parte della
 norma in esame (peraltro ovvio corollario della prima parte) che,  di
 fatto,  dispone  direttamente  l'efficacia  retroattiva,  sancendo la
 "nullita' di diritto" dei  provvedimenti  di  cancellazione  adottati
 dall'E.N.P.A.V.  nei confronti dei veterinari. Con cio', non si vuole
 sostenere artificiosamente la tesi della sussistenza  di  una  cesura
 tra le due parti dell'art. 11, ventiseesimo comma, che non e' neppure
 astrattamente  configurabile,  ma  il  metodo  analitico, che porta a
 scindere le componenti precettive  della  norma,  ha  come  esclusivo
 obiettivo  quello  della completezza dell'esegesi. In proposito, pare
 che il difetto di  razionalita'  sussista  anche  rispetto  a  questa
 seconda  prte  della  norma,  con  cui e' stata direttamente prevista
 (senza il tramite di una norma  interpretativa,  utilizzata  ad  hoc)
 l'efficacia retroattiva della disposizione.
    Poiche',  se  e' vero che la Costituzione, al di la' della materia
 penale, non vieta legge retroattive, esse sono comunque  soggette  al
 generale  sindacato  di  ragionevolezza  anche  per  quanto  riguarda
 l'effetto (retroattivo) suindicato.
    E nel caso di specie, essendo  validamente  estensibili  tutte  le
 argomentazioni precedentemente sviluppate, avendo la norma, dal punto
 di  vista  funzionale  ed  effettuale,  carattere  inequivocabilmente
 unitario (in particolare, disponendo in ordine a profili distinti, ma
 collegati), si puo' ritenere che  non  sussiste  alcun  elemento  che
 possa  fornire  un fondamento razionale alla retroattivita'. Anche in
 tale prospettiva, dunque, la norma  sembra  violare  l'art.  3  della
 Costituzione,   in   particolare   in  relazione  all'art.  38  della
 Costituzione.
    Con riferimento pertanto alla fattispecie  concreta  portata  alla
 cognizione  di  questo  pretore,  ai  fini di stabilire se in capo ai
 ricorrenti sussista o meno  un  obbligo  contributivo  nei  confronti
 dell'E.N.P.A.V. per gli anni 1991-1993, questione che puo' presentare
 difforme  soluzione  a  seconda che si ritenga applicabile l'art. 24,
 secondo  comma,  della  legge  n.  136/1991,  nella  sua   originaria
 formulazione,  ovvero  se si debba applicare la norma di cui all'art.
 11, ventiseesimo comma, della legge n.  537/1993,  e  rilevandosi  in
 base  a  quanto  sopra  argomentato  il  sospetto  di  illegittimita'
 costituzionale  di  quest'ultima  norma,  gli  atti  debbono   essere
 trasmessi  alla Corte costituzionale perche' sia risolta la questione
 di legittimita' costituzionale della norma  stessa  in  relazione  ai
 richiamati parametri della Carta fondamentale.
    Rimanendo  assorbito  ogni  altro  rilievo  ed  ogni altro profilo
 attinente al fatto, il presente giudizio deve dunque  essere  sospeso
 ed  occorre provvedere agli adempimenti prescritti dall'art. 23 della
 legge 11 marzo 1953, n. 87.